giovedì 13 ottobre 2011

Odio.


Gran parte di coloro che decidono di rinunciare drasticamente all’alimentazione carnea hanno subito la traumatica esperienza diretta dell’uccisione di un animale. Chi ha avuto la ventura di assistere all’uccisione di un maiale ricorda con raccapriccio le urla laceranti, e quasi umane, della povera vittima, il suo terrore, il suo vano cercare intorno l’aiuto di coloro che considerava amici e che ora fanno parte dei boia; ricorda i rantoli, le convulsioni, i fiotti di sangue, gli occhi sgranati e infine la vita che lentamente lo abbandona inerte alle asce, ai coltelli del carnefice.

Chi ha avuto la ventura di trovarsi in quel luogo maledetto chiamato mattatoio durante l’esecuzione capitale di un cavallo, di un vitello o di una pecora, resta per sempre traumatizzato da quell’esperienza infernale e trova le motivazioni per astenersi dal consumo di carne e spesso anche la volontà a dissociarsi da una realtà della quale accusa salutari sensi di colpa. Ricorda l’impotenza schiacciante dell’animale in balia dell’essere più crudele della terra, il suo pietoso ed inutile tentativo di fuggire, il panico negli occhi della preda braccata, l’angoscia di trovarsi in un ambiente tangibilmente ostile e pregno di esalazioni mortali, l’odore terrorizzante del sangue nella percezione imminente della morte.

Vedere un piccolo, meschino, rozzo garzone avere il potere, l’arroganza, la capacità di abbattere un possente, splendido, bellissimo cavallo, grida vendetta al cospetto della Vita. Come può un uomo conservare la sua serenità, dormire, sapendo che un essere simile a lui sia morto a causa sua? Come può considerare giusto e legittimo privare per sempre della vita una creatura senziente, impedirgli per sempre di esistere, di far parte della famiglia dei viventi? Come può affondare il coltello, la sega nelle carni vive e palpitanti, spaccare le ossa, strappare le viscere, il cuore, i polmoni, ridurre a pezzetti una creatura più degna dell’uomo di esistere e considerare simili ripugnanti membra di cadavere alimento per l’essere umano? Un uomo che genera sofferenza e morte come può tornando a casa la sera essere in pace con la sua coscienza e capace di una carezza, di un atto di gentilezza e bontà nei confronti dei suoi cari?

L’uccisione di un agnello, un coniglio o di una gallina, vittime di un’esecuzione improvvisata e sommaria negli ambienti rurali dei contadini, animali considerati quasi come membri della famiglia umana che li ha allevati, richiede una durezza di cuore primordiale. Assistere ai lamenti disperati, ai fremiti, alle convulsioni del povero animale, è un’esperienza traumatizzante per qualunque essere umano dotato di coscienza.

Queste terribili esperienze che cambiano la vita dovrebbero essere esperienza comune a tutti coloro che ritengono giusto e lecito mangiare la carne, a tutti coloro che trovando il pezzo di animale incellofanato nei supermercati non sanno (perché non vogliono) collegare quella misera parte anatomica ad una creatura fatta come noi che voleva vivere e che è stata uccisa per l’infame, degradante piacere della gola.

La cultura consumistica contemporanea, propinata dalle lobby agroalimentari e zootecniche attraverso i mezzi di informazione di massa, hanno attuato la più rovinosa e devastante dissociazione tra la bistecca e l’animale: molti bambini sono convinti che i polli crescono sugli alberi. Le scolaresche dovrebbero essere condotte a visitare i mattatoi invece di visitare gli zoo: sarebbe più istruttivo e responsabilizzante far sapere (in rispetto della verità) a chi apparteneva quel pezzo di carne che serenamente consumeranno per cena. Ognuno che ritiene “normale” nutrirsi di animali (dal papa al presidente della repubblica, dal ministro alla pubblica istruzione a quello della salute, dal capo della magistratura al portiere dello stabile) dovrebbe avere la coerenza morale delle loro scelte: far visita ad un mattatoio prima di addentare una bistecca.

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