venerdì 4 marzo 2011

Per fare un discorso da cigno nero ci vuole grinta!


E questo post cari coredici friends, altro non è che la recensione di tre capolavori da oscar ancora al cinema, che ho visionato recentemente.

Attento!
Se non hai ancora visto i film di cui parlo, evita di leggere! C'è un heavy spoiler all'interno delle mie parole scritte per ognuna delle pellicole che tratterò.

"Il discorso del re"(THE KING'S SPEECH) di Tom Hooper (GB) Un lungometraggio dai contenuti epici realizzato con maestria accademica secondo un canone cinematografico classico e conservatore.
L'opera è valorizzata senza dubbio al novanta per cento dalla performance dei tre attori principali: Helena Bonham Carter, Geoffrey Rush e Colin Firth.
Firth interpreta il ruolo del protagonista re Giorgio VI che, costretto a regnare nell'Inghilterra alle porte della seconda guerra mondiale a seguito dell'abdicazione del fratello maggiore, deve annunciare con un discorso ufficiale al suo popolo l'entrata in guerra della Gran Bretagna per contrastare la Germania nazista.
Un film storico, impeccabile per scenografie e costumi.
Gianni Canova l'ha definito un film "da tè del pomeriggio" per la sua pacatezza e spirito così elegantemente inglese. E' il colossal alla vecchia maniera con la scena strappa lacrime finale.
Vero, questo lavoro magistralmente diretto da Hooper ci regala però anche una memorabile interpretazione del bravissimo Colin Firth, il quale recita la parte di un nobiluomo membro della stirpe reale britannica nonchè padre dell'attuale Regina Elisabetta (nel film ancora bambina), affetto dallo psicologico problema della balbuzie; recita nei panni di uno che balbetta, ma che cerca di nascondere la sua difficoltà deambulativa...Genio.
L'opera cinematografica ha portato a casa 4 oscar tra cui miglior film, miglior regista e miglior attore protagonista; e io penso che sia giusto così.
Il momento del discorso finale al popolo è più che mai commovente, con la presenza dell'ottimo Geoffrey Rush in veste di logopedista privo di laurea del sovrano, al fine di sostenere e rassicurare il nostro buon re. Bellissimo. Da vedere, o come dicono gli americani "it's a must-see!"

"Il grinta" (TRUE GRIT)dei fratelli Coen (U.S.A.).Il remake dell'omonimo film di Henry Hathaway del 1968 che regalò al discusso John Wayne l'oscar come miglior attore protagonista.
Qui il ruolo de il grinta è interpretato dal già premio oscar Jeff Bridges; la pellicola è stata candidata a 10 statuette senza portarne a casa alcuna...Per i fratelli Coen c'era da aspettarselo: troppo freschi ancora dall'oscar per "non è un paese per vecchi".
Idem dicasi per Jeff Bridges che l'anno prima aveva già ritirato il premio come miglior attore per "Crazy heart"; la piccola Hailee Stenfeld era troppo giovane per vincere come miglior attrice non protagonista, doveva dare la precedenza alla navigata Melissa Leo (The fighter)che mai prima si era accaparrata il premio.
Detti questi frivoli nonchè sterili dettagli tecnici sul lavoro dei Coen, io penso che "il grinta" sia un autentico capolavoro.
Moderno benchè western, poichè realistico e dinamico dal punto di vista narrativo.
Una California spietata e fredda occupata da cowboys spregevoli e ignoranti.
Polvere, whisky, debiti di gioco e vigliaccheria che contorna una storia genuina narrante il desiderio di giustizia e l'esigenza di vendetta.
I banditi sono codardi ignoranti e sporchi che si fanno forti solo se in superiorità numerica. L'eroe è vecchio e dedito all'alcool, stanco, orbo e flaccido; il co-protagonista è un texano moralista e un pò ridicolo nella sua fierezza; la protagonista femminile è una bambina di quattordici anni che perso il padre violentemente, si ritrova privata della sua innocente adolescenza e responsabile delgli affari della sua fattoria.
Le pistole si inceppano, gli sceriffi e i rangers biascicano sbronzi, il tutto accompagnante verso una scena epica di duello col nostro eroe non convenzionale che stringendo le redini tra i denti fredda da solo la banda dei cattivi.
Un romanzo cavalleresco con una location naturale perfettamente suggestiva.
Un sonoro da brivido e un gran montaggio!
Stupendo!

"Il cigno Nero" (Black swan)di Darren Aronofsky (U.S.A.).Statuetta d'oro per la performance angosciante dell'incantevole Natalie Portman.
Il regista mi aveva fatto innamorare di "The wrestler"e questa volta passa a un contesto ludico totalmente opposto.
Aronofsky ci introduce nel mondo del balletto classico in maniera piu maniacale e ostile proponendo all'interno di un ambiente artistico, elegante, fine e delicato un' atmosfera psicologicamente e fisicamente più violenta di un ring occupato dai lottatori sudati e butterati della lotta libera.
Innumerevoli le inquadrature di schiena della protagonista mentre cammina, stessa tecnica applicata per le camminate di Randy Robinson (Mickey Rourke) in the Wrestler. I passi di Nina (la Portman) sono più veloci, corti, nervosi.
La danza come non l'avevamo mai vista.
Credetemi, conosco relativamente la danza classica e le prove devastanti che le ballerine affrontano, sia professioniste che non.
Nina è bellissima, candida e tecnicamente impeccabile, la sua ambizione e ricerca per l'utopica perfezione rappresentativa le assicurano il ruolo della dolce Odette ne "il lago dei cigni", balletto classico fatto e rifatto, ma che per idea del visionario Le Roy (Vincent Cassell) si imprime di innovazione e freschezza con la trovata di lasciare interpretare alla prima ballerina della compagnia entrambi i ruoli: cigno nero e cigno bianco.
La ragazza ha serie difficoltà ad interpretare il carattere del cigno nero, in quanto manca di sensualità, così rischia di perdere la parte per colpa della maliziosa rivale Lily che invece sa sedurre e convincere.
Il dietro le quinte della danza classica è atroce, un dipinto maledetto che guarda da vicino i piedi lividi di chi fa danza, lo studio ossessivo disturbato dal sanguinare di un unghia spezzata dalle esaustive prove.
Le inquadrature catturano il balletto che al contempo cattura noi posseduti da armoniosi movimenti bellici accompagnati da un Čajkovskij che mai prima d'ora ci era giunto alle orecchie così cupo e rabbioso.
Un racconto gotico nei giorni nostri, il cigno nero è il Dorian Gray della danza; una principessa ingenua e fragile costretta per contratto e per gloria a trasformarsi in un mostro senza mai poter rinunciare al sorriso per il pubblico; un agnello diventa lupo; l'inibizione diventa sesso puro, il tutto mediante un percorso che va oltre la follia stessa. L'ambizione alla perfezione che per essere tale deve incoraggiarti ad osare, a non essere più te stessa nemmeno davanti allo specchio.
Il cigno nero racconta surrealmente la metamorfosi inquietante di una bianca creatura rivale di se stessa che una volta liberatasi dai freni morali di una formazione così dannatamente classica, dovrà fare i conti con ciò che diventa successivamente: l'opposto.
Per liberarsi dall'incubo che la possiede persino i colleghi realizzano la necessità di portare a termine quel maledetto numero musicale, in un modo o nell'altro, da sana o da pazza, da sobria o drogata purchè sempre concentrata...Liberarsi dal ruolo, dalla musica, dagli applausi che tanto ha cercato per un'ovazione finale precedente la tragedia, comunque inferiore a quello che anche noi fuori dal grande schermo riconosciamo come un numero perfetto!
Un capolavoro, e spero abbia apprezzato anche o soprattutto chi al contrario di me è del mestiere..Vero Sara?

'mmazza se sò fregno!

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